...Ed io ancora qui
con le dita tremanti che adornano
al segno della pace l'aria silenziosa
dentro il deserto delle ore
mentre l'alta marea scompagina
sul cielo di cartapesta i colori dell'orizzonte.
Chi manca in quest'attimo divincolato
nella parte bassa del cuore non è
il cesto con la frutta candita
il rintocco prepotente della campana
l'alito del vento o l'occhio del cammello
perso nel verde dell'oasi
Halley o che so io quale altro astro
al di qua della linea
dentro al disegno del cortometraggio dell'esistere
sei tu
che chiudi in un ramoscello
le misure del dare ed avere.
(10 febbraio 2000)
Lungo l'intero orlo del passaporto scorre
la ferrovia delle cose
e forse nel mosaico restaurato
si cela oggi il gioco che non sai
la forma della pietra
quel respiro che sul fascio del neon
pulsa la sua sorte.
La risposta non data è nel fischio del treno
nel cunicolo del capodanno
nel sentiero della nudità;
stiamo quì ininterrotti sull'asfalto
nella traccia evidenziata sul diario della notizia
e non è più la casa di Hilde a trattenere la sfera
che scende/precipita, accantona l'impronta
il lieve/dolce nome di donna.
La tua lettera mi ha riportato indietro nel viaggio
nel corpo
che può cadere al piegarsi delle giunture
al numero sulla porta della stanza
al pericolo della nebbia
che veste e sveste il buio
alla riva spumeggiante
sotto l'orbita fissa del lampione a gennaio.
L'unghia che annaspa
col suo modo impercettibile
a scalfire la profondità della ragnatela
il diffuso inverno, il solletico dello chanel
che torturano il confine della sera
riportano a ferite lontane
all'oro nudo dell'amore
al cantico che rimbomba nel cortile
all'ultima corsa del tram che scava l'acciottolato
al deragliare del vento
su cifrari nascosti.
Ed ai bambini rimangono sempre più dense
le voci delle madri, il lucente rimprovero
sulle mani immerse dentro al fiocco
nel pacco, nel disordine della felicità.
(11 marzo 2000)
(le voci)
Ecco quello che nell'anno
non fu fissato sulla carta, il fruscio della seta,
il laccio che scatenava la segretezza di un'idea
come la magia degli insonni che captano fosfeni
battono il ritmo del pensiero incenerito
dal sole al mezzogiorno d'agosto.
I vasi allineati nell'antica farmacia
dietro gli spiragli della tramontana
custodiscono la tua voce flebile
aspettano la calata dell'ombra
sul petalo del girasole
e l'inchiostro dell'inverno fra rotaia e rotaia
allarga le molecole della terra.
Chiunque qui entra avrà il castello chiuso,
a sinistra, nella piazza,
il forziere della storia che in altre età
succhiava odori e aria dal mantice dello stalliere.
E' solo nel ricordo della luce che si risentono
da dietro le imposte socchiuse
quando urtano quello che sai
la geografia del ragno.